sabato 30 gennaio 2010

Da Washington a Ottawa: fuggendo dalla guerra

Centinaia di ex soldati americani hanno chiesto asilo al Canada per non combattere in Iraq

da What's Up di ottobre 2009
scritto in collaborazione con Gabriella Tesoro
C’era un tempo in cui emigrare in America era considerato il sogno di tutti. Ora quel sogno è svanito e si è trasformato nell’incubo di essere un cittadino americano, o peggio ancora, un soldato americano.
Oggi quasi 220 ex militari statunitensi raccontano dal Canada le loro incredibili esperienze. Vengono chiamati “War Resisters” ossia “Resistenti alla guerra” e Toronto si è guadagnata l’epiteto di “Resisterville”, perché la maggior parte di loro è concentrato qui, sul lato canadese del lago Ontario. Molti ancora non si sono rivelati per quello che sono, ossia dei fuggitivi o profughi di una guerra, quella in Iraq, nella quale non credono, ma non sono pochi quelli che hanno chiesto ufficialmente al Canada la cittadinanza. Da Ottawa il premier Stephen Harper, conservatore e grande amico di Washington, ha risposto negativamente ad ogni richiesta, anche se gran parte della popolazione canadese sembra essere favorevole. Chi non ha intenzione di prendere posizione riguardo questa vicenda sono, invece, i giudici di Toronto che rimandano la questione ad una dimensione non legale, ma bensì politica, riguardante le relazioni tra il Canada e gli Stati Uniti. La questione tra i due Paesi va avanti sin dagli anni ’70 quando, per evitare la guerra in Vietnam, fuggirono a nord circa 55mila soldati americani. All’epoca si poteva parlare di diserzione perché la leva era obbligatoria. Oggi negli USA ci si arruola volontariamente e in molti hanno ascoltato la chiamata alle armi da parte di George W. Bush in seguito all’11 settembre. La maggior parte di coloro che sono scappati in Canada sono reduci della prima ondata d’invasione dell’Iraq, rimandati a casa e poi richiamati di nuovo quando le cose non stavano andavano per il verso giusto. Coloro che avevano visto cos’era la guerra in Iraq rimanendone scioccati hanno preferito, come i loro padri negli anni ’70, scappare a nord, anche rischiando di andare in contro alla severissima Corte marziale americana. Perfino Obama che ha definito quella in Iraq una “dumb war” (guerra stupida) non può fare nulla per evitare che questi disertori/obiettori di coscienza/profughi di guerra vadano incontro a questo giudizio che, nel peggiore dei casi, può significare anche due anni di galera.
Un’altra grande barriera che i War Resisters devono superare si chiama Jason Kennedy, il Ministro dell’Immigrazione canadese. Da sempre convinto che gli ex soldati non siano “autentici profughi o rifugiati politici, come intendono far credere” e “non subiscono affatto persecuzioni nei loro Paesi”, ha fatto bocciare, nell’ultimo anno, due proposte dell’opposizione che congelavano l’ordine d’espulsione inflitto ai resistenti. Il primo a pagarne le conseguenze è stato Robin Long. Il giovane 25enne viveva in Canada da tre anni; arrestato il 15 luglio 2008 con l’accusa di diserzione, è stato estradato negli Stati Uniti, dove il tribunale militare lo ha condannato a 15 mesi di detenzione in isolamento. Tuttavia la vicenda più celebre rimane quella di Joshua Key. Come egli stesso ha scritto nel suo libro “The Deserter’s Tale” (Racconto del disertore), la sua storia è simile a quella di migliaia giovani soldati americani: si arruola nell’esercito dopo l’11 settembre e nel 2003 viene spedito a Baghdad perché “Saddam Hussein era un mostro che andava tolto di mezzo e bisognava privarlo delle armi di distruzione di massa che erano nelle sue mani” scrive Key nel suo libro “Ma erano tutte balle. Non è stato trovato niente”. Key racconta di aver commesso in Iraq, assieme al suo plotone, reati che vanno dalla rapina a mano armata all’omicidio e descrive episodi orribili come quando vide per strada una serie di corpi decapitati e due soldati che prendevano a calci una testa come fosse un pallone. Key spiega che la propaganda militare americana chiama gli iracheni “sand nigger” (negri di sabbia) e che “loro non sono uomini” dal momento che “tutti i musulmani sono terroristi e tutti i terroristi sono musulmani” ribadendo che l’unico obiettivo è eliminarli. Infine conclude: “Ho perso il mio Paese e il mio Paese ha perso me. Potrei rivedere questa posizione solo nel caso in cui gli Stati Uniti mandassero sotto processo l’ex presidente Bush e tutti gli ufficiali responsabili di aver mandato il nostro esercito in Iraq”.
Che la guerra combattuta dal loro Paese sia giusta, ingiusta o stupida, come ammette lo stesso Obama, comunque queste persone si sentono tradite e, di sicuro, negli Stati Uniti non vogliono tornarci mai più.

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