lunedì 22 dicembre 2008

I Simpson contro Peron

La celebre serie tv censurata in Argentina



A causa di una battuta la decima puntata della diciannovesima serie de I Simpson non verrà trasmessa in Argentina. Così ha deciso l’emittente televisiva Fox, che trasmette il celebre cartone animato in tutto il mondo, in seguito alle lamentele da parte di Lorenzo Pepe, deputato e segretario generale dell’istituto Juan Domingo Perón.
L’ira del parlamentare argentino è stata scatenata dall’episodio, attualmente visibile sottotitolato in spagnolo solo su internet, intitolato E. Pluribus Wiggum, durante il quale, in un’affollata discussione tenuta nel bar Moe’s, gli avventori si accalorano in un’invettiva contro i politici americani. “La cosa migliore da fare sarebbe quella di abolire per sempre la democrazia!” Esclama Moe. “Mi piacerebbe davvero una dittatura militare come quella di Juan Perón.” Sottolinea Carl aggiungendo: “Quando ti faceva sparire, rimanevi desaparecido!” E Lenny rincara la dose: “E poi sua moglie era Madonna!”
A Buenos Aires non hanno trovato l’umorismo raffinato degli springfieldiani così raffinato e il Comitato Federale per la Radiodiffusione ha deciso di censurare l’episodio dando ragione a Lorenzo Pepe.
“Gli Stati Uniti mostrano una grande ignoranza.” Ha dichiarato il deputato a sostegno della sua richiesta di censura. “Gli yankees non ne sanno molto dell’Americana Latina, per favore rispettino un leader illustre e di grande rilevanza in questa regione durante tutto il ventesimo secolo.” Ovviamente si parla di Perón, ex presidente dell’Argentina e marito, in seconde nozze di Eva Duarte, interpretata da Madonna nel film Evita. Pepe sostiene che il riferimento alla presunta “dittatura” di Perón e al suo coinvolgimento nel fenomeno dei desaparecidos siano entrambe delle allusioni insensate e infamanti per l’intera società argentina che gli Stati Uniti starebbero “avvelenando”.
In questo giudizio il deputato argentino è accomunabile a Hugo Chávez, presidente del Venezuela, il quale, ritenendo che il cartone “attenta contro la formazione integrale di bimbi, bimbe ed adolescenti”, lo ha sospeso nell’aprile di quest’anno, facendolo sostituire con la serie televisiva Baywatch, sicuramente più formativa dei Simpson. La serie creata da Matt Groening è inoltre censurata dal 2006 in Cina e vanta, tra i suoi più acerrimi nemici, la stessa Fox che viene letteralmente massacrata ogni qual volta se ne presenti l’occasione. Nel 2003 girò addirittura voce che la dirigenza della rete avesse citato in giudizio l’autore per aver fatto una parodia al canale d’informazione Fox News che, nel sottopancia del notiziario, trasmetteva le seguenti notizie: “I democratici provocano il cancro – il 92% dei democratici sono gay – Kennedy aderisce al partito repubblicano dopo la sua morte.”
Insomma, parrebbe che Matt Groening ce l’abbia veramente con tutto e tutti e non risparmi proprio nessuno dal suo tagliente umorismo, neanche sé stesso, rappresentato in una puntata come un vecchio scorbutico, ubriacone e violento che avrebbe ideato il cartone per pagare i suoi debiti di gioco (foto). Ovviamente nulla corrisponde a realtà e tutto è frutto della vena umoristica dell’autore che, in barba al politically correct, ma rispettando un’equa par condicio, non disdegna di dileggiare numerosi ex presidenti americani: Clinton, Ford, Reagan, Nixon, arrivando a ritrarre una riunione del partito repubblicano in cui siedono al medesimo tavolo Bush senior, Dracula e Hitler.
Giudicando più da vicino il tipo di umorismo dei Simpson la reazione del deputato argentino potrebbe essere considerata eccessiva, in quanto che milioni di spettatori seguono la serie tv ben consci della critica sociale e politica basata su un umorismo che spesso fa leva sull’ignoranza dei personaggi, proprio per denunciare quella medesima ignoranza o sui luoghi comuni più classici, proprio per simboleggiarne la falsità.
Dopo diciannove serie, oltre 400 episodi de I Simpson pieni di insulti e improperi, Lorenzo Pepe potrebbe avere ragione nel dire che gli americani, rappresentati tutti nella figura di Matt Groening, sono ignoranti riguardo l’Americana Latina e che Perón non è stato un dittatore e che non ha avuto nulla a che fare con i desaparecidos, ma dovrebbe altrettanto dichiarare che sono ignoranti riguardo l’America stessa e che George W. Bush senior non è mai stato seduto a un tavolo con vampiri e nazisti.

lunedì 15 dicembre 2008

Eccessive esondazioni

"Oddio esonda! Oddio esonda!" Commentavano i romani affacciati alle sponde del Tevere con un misto di eccitazione e paura. In effetti sembrava più che, come si dice nella capitale, je la stavano a tirà piuttosto che un reale pericolo per la città. In effetti il fiume capitolino ha toccatto livelli preoccupanti a causa delle intense piogge (12,5 metri), ma sempre al di sotto dei livelli di guardia e sempre ben controllato dalle dighe che, a nord di Roma, regolano l'afflusso delle acque. Nonostante il sindaco Alemanno che, trafelato, invitava alla prudenza e, al massimo dell'allrmismo, a non uscire di casa se non necessario e comunque a non portare i bambini a vedere il tevere in piena, a sentire le parole del capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, l'unico vero pericolo per i cittadini erano i cittadini stessi. I barconi che "alcuni imbecilli" non hanno saputo ancorare bene, hanno effettivamente creato problemi e preoccupazioni, vagando, selvaggiamente trasportati dalle feroci acque del fiume (come si vede nei numerosi video ripresi dai cittadini) e andandosi a schiantare sui piloni degli splendidi ponti capitolini. Purtroppo oltre che ad allarmismi esagerati, giacchè solo questi e qualche disagio ha causato la presunta esondazione, si deve registrare anche l'annegamento di un turista irlandese 27enne che, forse con un tasso alcolemico elevato nel sangue, sporgendosi da ponte Mazzini in maniera pericolosa, è caduto nelle acque del fiume. Le ricerche del corpo proseguono, anche se il compito ovviamente non è semplice a causa della corrente e della torbidezza delle acque.


lunedì 8 dicembre 2008

Sulla scia dei missili sovietici


Da Pyongyang fino a Tripoli. Come un missile può essere venduto a tutto il mondo

Lo stato di salute dell’autoritario presidente della Nord Corea, Kim Jong Il, pare essersi aggravato di recente. Due ictus avrebbero colpito il “Caro Leader” e, tra quelle rubate e quelle smentite, l’unica notizia veritiera è che il presidente è chiuso in casa da troppo tempo per non destar sospetti. Proprio come lui, anche la sua nazione pare chiudersi a riccio di fronte al mondo esterno. Dopo aver serrato le sue frontiere con Sud Corea e, a nord, con la Cina, il Paese, in crisi economica e sociale, si è dato ad esose richieste. Se nell’ottobre scorso gli Stati Uniti stavano valutando di depennare la Nord Corea dalla lista degli stati-canaglia per favorire i negoziati sulla denuclearizzazione, oggi è più un imposizione che una scelta. Avendo deciso di riaprire il reattore nucleare di Yongbyon, risalente all’epoca sovietica, Pyongyang ha ribadito all’America di voler essere tolta dalla lista nera ed ha acconsentito alle ispezioni internazionali sul reattore solo dopo che saranno arrivati gli ingenti aiuti promessi da Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone e Sud Corea. Più che di aiuti economici sembrerebbe un riscatto. Già in ottobre, infatti, i nordcoreani avevano spiegato più di dieci missili sulla sua costa occidentale per effettuare test sui modelli KN-01 e Styx (con gittata di 110-120 km il primo e 46-50 il secondo), proprio a pochi giorni dai colloqui sul nucleare con gli americani. La Russia, di par suo, ha sempre affermato di trovare eccessivi i test missilistici di Pyongyang, ma d’altronde è Mosca ad avergli venduto quei missili e il vettore di produzione nordcoreana Ro-dong, progenitore dei tanto temuti Shahab iraniani, è nato da un progetto finanziato proprio da Teheran e con la supervisione degli stessi russi. Insomma, la Nord Corea è in un difficile momento in cui i crediti con Mosca e Teheran, le minacce missilistiche a Seoul e Tokyo e quelle nucleari a Washington, possono portare un po’ di soldi nelle casse dello Stato e, magari, garantire cure migliori al povero presidente.

Chi invece continua a godere di ottima salute sono proprio i mercati degli armamenti tattici. In Medio Oriente si è parlato dell’arrivo di missili russi S-300 in Iran e Siria, anche se Mosca ha smentito l’accordo con l’Iran. Il portavoce del Ministero degli Esteri russo Andrei Nesterenko ha dichiarato che il suo paese non venderà «simili armi a paesi che si trovano, parlando moderatamente, in regioni volubili». Anche nel caso in cui «simili armi» non dovessero arrivare a Teheran dalla Russia, l’Iran ha ben pensato di acquistarne 300 dalla Bielorussia e dalla Croazia. Della Siria, invece, non si è saputo nulla. Evidentemente a Mosca non ritengono che il Paese si trovi in una «regione volubile». Per allungare la lista di “paesi cattivi” che hanno scritto Medvedev sul libretto degli assegni, Muhammar Gheddafi ha fatto visita al presidente russo il 28 ottobre scorso. I due omologhi hanno parlato di cancellazione del debito contratto dalla Libia durante la Guerra Fredda (4,5 miliardi di dollari), di collaborazioni industriali, ovviamente energetiche sul gas e di armi. Gheddafi sarebbe pronto a spendere 2,5 miliardi di dollari per un contratto che gli garantisca bombardieri della classe Mig e Sukhoj, elicotteri e navi da guerra e i soliti sistemi missilistici per la difesa S-300. I medesimi vettori sono stati ordinati al supermarket bellico per Nazioni di Mosca da Indonesia e Algeria, mentre Vietnam e India ne sono già stati forniti. La Cina dovrebbe arrivare a possederne nel 2008 circa 1600 ed ha un contratto per la fabbricazione dei medesimi missili con il nome di Hongqi-10. Persino gli Stati Uniti hanno pensato di acquistarne un esemplare per studiarlo e migliorare il modello paritetico americano, il Patriot.

sabato 15 novembre 2008

La tecnologia, il politico e il cittadino

Barack Obama: l’uomo delle prime volte. È il primo Presidente degli Stati Uniti di colore; è il primo ad aver vinto alle presidenziali su un ex reduce di guerra; è il primo ad aver vinto teoricamente le elezioni in anticipo sul voto ed è il primo ad averlo fatto su internet. Obama è, probabilmente destinato ad essere ricordato per molti motivi da storici, politologi, e, soprattutto, da studiosi della comunicazione.
Il web è si è popolato di sostenitori del candidato democratico durante tutta la campagna elettorale. Dai più popolari Youtube e Facebook, ai singoli blog degli utenti della rete, per finire ai commenti degli articoli sulla corsa dell’uomo di Chicago. Ma non sono stati solo i cittadini di tutto il mondo ad usare il web per sponsorizzare le loro simpatie politiche. Lo stesso neo presidente ha sfruttato al massimo le capacità comunicative di un mondo che naviga sempre di più. La corsa via internet di Obama è partita dalle primarie. Il suo staff pubblicava regolarmente su Youtube, in un canale direttamente riservato all’ex senatore dell’Illinois (BarackObamadotcom), tutti i video delle conferenze e dei dibattiti, fino ad arrivare all’ultimo discorso di Chicago in cui Obama, appena eletto, ringraziava chiunque lo avesse sostenuto.



Non basta, i ringraziamenti del presidente degli Stati Uniti sono arrivati anche su Facebook a tutti gli utenti iscritti ai gruppi che lo sostenevano. Sulla mia bacheca del popolare social network, il giorno dopo l’elezione, è arrivato l’avviso di un’e-mail di ringraziamento per il supporto e la fiducia che avevo riposto in lui durante la battaglia elettorale. Anche se il messaggio si chiudeva con “God bless America”, devo ammettere che mi ha fatto una certa impressione essere ringraziato dal Presidente statunitense, o da chi per lui. Fossi stato un cittadino americano mi sarei sentito particolarmente vicino all’uomo che dovrà guidare il mio Paese e, in questi tempi di disillusioni politiche, credo che la vicinanza tra i cittadini e i loro rappresentanti istituzionali sia quanto mai essenziale. Barack Obama deve averlo capito ed è riuscito a farsi percepire dall’America come l’uomo più vicino ai suoi problemi, non solo politicamente, ma anche fisicamente. L’ondata di entusiasmo che si è creata intorno alla sua candidatura è stata montata dalle rive delle isole del mare di internet e si è infranta sul surfista McCain.
Obama non è, però, il primo politico ad aver istituzionalizzato internet ed ad averlo usato per quello che è: il mezzo di comunicazione di massa più popolare del momento. La regina inglese Elisabetta II, infatti, ha da tempo intuito le potenzialità del web.
Dopo essere diventata la seconda “g” sul logo di Google ed essersi dichiarata assidua frequentatrice di Youtube, ha qui aperto The Royal Channel, il canale che guarda da vicino la casata reale. Così, dopo aver deciso di rendere pubbliche su internet tutte le spese di Casa York ed aver reso partecipi i sudditi alla propria vita, come potrebbe fare un qualsiasi utente della rete, la regina ha trasformato internet nel proprio mezzo di comunicazione più importante, fino ad arrivare ad augurare un buon natale alla Gran Bretagna direttamente su Youtube.