lunedì 8 febbraio 2010

Una sola legge: tratteniamo il cliente

L’Antitrust multa in continuazione le aziende telefoniche, ma le sanzioni sono troppo basse per dissuaderle dal continuare

da What's Up di dicembre 2009
Il mondo delle telecomunicazioni è un perenne campo di battaglia, per le imprese, che si sparano a vicenda a suon di denunce e per i consumatori, i quali, in costante equilibrio tra una mina burocratica e una tecnica, non hanno mai la certezza definitiva di aver fatto un “buon’affare” nel firmare questa o quella tariffa. Per fortuna a imporre il cessate il fuoco e a punire i contendenti, ogni tanto interviene l’Antitrust. L’ultima società che si è vista recapitare una multa “per aver messo in atto una pratica commerciale scorretta volta a ostacolare il diritto dei clienti” è stata Tiscali. L’azienda fondata dall’ex governatore sardo Renato Soru “ha impedito ad alcuni consumatori che avevano espresso la volontà di migrare verso un altro operatore di telefonia fissa di esercitare il diritto di recesso”. Così si legge nel comunicato stampa dell’Antitrust che ha, in seguito a numerose denunce dei consumatori, rilevato un’attività, anzi, inattività da parte di Tiscali nell’agevolare il passaggio ad altri operatori. La società telefonica pur interrompendo i servizi telefonici e di internet continuava a fatturare i medesimi ai clienti, ostacolando e creando “disservizi” nel processo legittimo di recessione del contratto da parte dei clienti stessi. La multa comminata all’operatore è di 50.000 euro, ben poca cosa a fronte dei più di 316 milioni di fatturato annuo dell’impresa, ma, comunque, una rivincita per coloro i quali vengono letteralmente intrappolati dalle magagne tecnico-burocratiche delle grandi case di telefonia. Sì perché “Tiscali inoltre – specifica l’Antitrust – risulta recidiva essendo già stata destinataria di simili provvedimenti”. Non c’è da stupirsi considerando il fatto che tra le grandi compagnie telefoniche queste sembrano essere pratiche comuni. Recentemente il Garante della Concorrenza e del Mercato ha punito anche Wind e Tele2, con multe rispettivamente da 90mila e 120mila euro, per mancanza di informazioni sulla velocità dei servizi Adsl e sulla tariffa a tempo che, all’insaputa dei consumatori, registrava l’uso del router anche a computer spento. Ma non finisce qui. Andando a cercare tra i comunicati stampa del 2009 si trovano molti altri interventi sanzionanti sempre gli stessi “comportamenti ostruzionistici” e “ritardi nella consegna del codice di migrazione”. Le società multate sono pressappoco tutte: Fastweb, Telecom, Vodafone e, appunto, Wind, Tiscali e Tele2. Per alcuni le multe sono state più pesanti. Vodafone, per esempio, “avrebbe indotto i clienti a revocare la richiesta di portabilità proponendo in maniera non trasparente […] piani tariffari con sconti e condizioni economiche personalizzate particolarmente vantaggiose, che, però, non sarebbero state attivate nei termini prospettati”. Inoltre non è raro trovare veri e propri esempi di frodi degne della “Banda del buco” in versione hi-tech, come quella di inviare degli sms ai clienti che richiedono il cambio di operatore: “Le ricordiamo di inviare un sms al numero 49990650922383 con scritto revoco mnp”. Il cliente può pensare si tratti della conferma alla sua richiesta di revoca del contratto, invece è la conferma della revoca della sua richiesta di revoca. Sul sito dell’Antitrust (www.agcm.it) se ne trovano a decine di questi casi. Le compagnie telefoniche sembrerebbero farci poco caso, preferendo pagare e continuare a mantenere un atteggiamento recidivo comune a tutte. Forse con sanzioni più pesanti…

giovedì 4 febbraio 2010

La sicurezza in Iraq è un vero affare

Vere e proprie multinazionali della protezione armata si contendono gli appalti per la sicurezza delle imprese e dei privati e i russi sembrano essere i più bravi

d What's Up di novembre 2009
Dal 20 marzo 2003, giorno in cui iniziò ufficialmente la guerra in Iraq, le cose sono parecchio cambiate. Sei anni dopo il nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, sta facendo di tutto per tirar fuori i suoi ragazzi dalle sabbie del medio oriente. Ma chi rimarrà dopo? Oggi in Iraq è presente sia un esercito regolare, sia una polizia statale addestrata formalmente dalle forze della Coalizione. Il problema è che in un paese ancora pericolosissimo, con un amministrazione corrotta e con l’ombra dei terroristi in ogni vicolo, nessuna impresa, irachena o straniera che sia, si fida né dell’esercito, né della polizia. A togliere le castagne dal fuoco a tutti sono i contractors (capitalistico termine per definire i mercenari), ossia delle forze armate private, assunte per proteggere zone industriali, dirigenti d’azienda, personalità politiche o economiche. Nessuno che se li possa permettere ne fa a meno in Iraq, tant’è che da qualche anno a questa parte sono il 57% in più rispetto ai soldati Usa-Nato. Perfino il Dipartimento della Difesa statunitense è arrivato a fatturare oltre 100 miliardi di dollari in contratti con queste aziende private: il governatore ad interim dell’Iraq, l’americano Paul Bremer, era scortato in giro per Baghdad non dai soldati, bensì dai contractors. Per non parlare della Cia che, da quando nel 1976 il presidente Gerald Ford le tolse la licenza di uccidere, ha avuto contatti sempre più stretti con queste agenzie “extra-statali” per le cosiddette “Black-Ops” (Operazioni in nero). Da alcuni fonti del New York Times si è appreso che nel 2004 la Cia avrebbe ingaggiato dei sicari per uccidere pericolosi elementi di Al Qaida, investendo svariati milioni di dollari nell’operazione. I sicari della Blackwater non solo non sarebbero poi riusciti ad uccidere nessuno, ma la compagnia militare privata americana è ora sotto processo per la morte di 14 civili innocenti a Baghdad ed è stata costretta a cambiare nome in Xe Services, giacché la sua pessima fama la precedeva (guardate questo link per credere). Anche i russi hanno le loro agenzie di contractors e la pubblicità più grande gliel’hanno fatta proprio gli uomini della Blackwaters. La Oryol opera in zone ancora molto a rischio, come Tikrit o Kirkuk, ma i rapporti tra l’agenzia e la popolazione sono buoni, così come lo sono con le autorità e persino con le forze dell’opposizione. “Le nostre famiglie credono che noi russi possiamo fare molto per il medio oriente, molto più di quanto facciano i nostri colleghi americani e inglesi". Dichiara Sergey Epishkin, responsabile del centro addestramento della Oryol. “Ai nostri uomini insegniamo anche il dialetto del luogo. Se riesci a comprenderlo puoi spesso evitare che le cose si mettano male. La popolazione locale ci tratta bene. Noi siamo con la missione di pace e aiutiamo anche a ricostruire le centrali energetiche”. A differenza dei loro colleghi occidentali, i quali non devono sottostare alle regole dell’esercito, né tantomeno a quelle irachene, i contractor russi non sono legalmente tutelati e per loro sparare dev’essere veramente l’ultima cosa possibile da fare. Per questo motivo il loro lavoro in Iraq è stato concentrato più sulle relazioni con cittadini e istituzioni rispetto che sull’operazioni militari. Su Youtube si possono trovare facilmente video girati da uomini della Blackwaters in cui si vedono i propri compagni sparare per divertimento su macchine in movimento o sulla folla. Oleg Maslov, del centro d’addestramento anti-terrorismo della Oryol sostiene invece che “anche quando si vede un bambino correre in mezzo alla strada con uno zaino di plastica che potrebbe essere pieno di esplosivo, la cosa più importante è non andare nel panico, non premere il grilletto”.

(tra parentesi...)
In Uganda i soldati costano meno: Ben 12mila ugandesi, uomini e donne, sarebbero stati reclutati a bassissimo costo in Africa per essere addestrati e spediti in medio oriente da compagnie di contractors private. L’affare lo fanno tutti: le società risparmiano sugli stipendi (circa 600 dollari al mese per lavorare armato nel paese più pericoloso del mondo) e gli ugandesi (i quali non se la passano molto bene, sanno l’inglese e, purtroppo per loro, sono pratici di conflitti) che con quegli stipendi rimandati in patria costituiscono il primo introito per lo stato, più dell’esportazione del caffè.