lunedì 8 dicembre 2008

Sulla scia dei missili sovietici


Da Pyongyang fino a Tripoli. Come un missile può essere venduto a tutto il mondo

Lo stato di salute dell’autoritario presidente della Nord Corea, Kim Jong Il, pare essersi aggravato di recente. Due ictus avrebbero colpito il “Caro Leader” e, tra quelle rubate e quelle smentite, l’unica notizia veritiera è che il presidente è chiuso in casa da troppo tempo per non destar sospetti. Proprio come lui, anche la sua nazione pare chiudersi a riccio di fronte al mondo esterno. Dopo aver serrato le sue frontiere con Sud Corea e, a nord, con la Cina, il Paese, in crisi economica e sociale, si è dato ad esose richieste. Se nell’ottobre scorso gli Stati Uniti stavano valutando di depennare la Nord Corea dalla lista degli stati-canaglia per favorire i negoziati sulla denuclearizzazione, oggi è più un imposizione che una scelta. Avendo deciso di riaprire il reattore nucleare di Yongbyon, risalente all’epoca sovietica, Pyongyang ha ribadito all’America di voler essere tolta dalla lista nera ed ha acconsentito alle ispezioni internazionali sul reattore solo dopo che saranno arrivati gli ingenti aiuti promessi da Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone e Sud Corea. Più che di aiuti economici sembrerebbe un riscatto. Già in ottobre, infatti, i nordcoreani avevano spiegato più di dieci missili sulla sua costa occidentale per effettuare test sui modelli KN-01 e Styx (con gittata di 110-120 km il primo e 46-50 il secondo), proprio a pochi giorni dai colloqui sul nucleare con gli americani. La Russia, di par suo, ha sempre affermato di trovare eccessivi i test missilistici di Pyongyang, ma d’altronde è Mosca ad avergli venduto quei missili e il vettore di produzione nordcoreana Ro-dong, progenitore dei tanto temuti Shahab iraniani, è nato da un progetto finanziato proprio da Teheran e con la supervisione degli stessi russi. Insomma, la Nord Corea è in un difficile momento in cui i crediti con Mosca e Teheran, le minacce missilistiche a Seoul e Tokyo e quelle nucleari a Washington, possono portare un po’ di soldi nelle casse dello Stato e, magari, garantire cure migliori al povero presidente.

Chi invece continua a godere di ottima salute sono proprio i mercati degli armamenti tattici. In Medio Oriente si è parlato dell’arrivo di missili russi S-300 in Iran e Siria, anche se Mosca ha smentito l’accordo con l’Iran. Il portavoce del Ministero degli Esteri russo Andrei Nesterenko ha dichiarato che il suo paese non venderà «simili armi a paesi che si trovano, parlando moderatamente, in regioni volubili». Anche nel caso in cui «simili armi» non dovessero arrivare a Teheran dalla Russia, l’Iran ha ben pensato di acquistarne 300 dalla Bielorussia e dalla Croazia. Della Siria, invece, non si è saputo nulla. Evidentemente a Mosca non ritengono che il Paese si trovi in una «regione volubile». Per allungare la lista di “paesi cattivi” che hanno scritto Medvedev sul libretto degli assegni, Muhammar Gheddafi ha fatto visita al presidente russo il 28 ottobre scorso. I due omologhi hanno parlato di cancellazione del debito contratto dalla Libia durante la Guerra Fredda (4,5 miliardi di dollari), di collaborazioni industriali, ovviamente energetiche sul gas e di armi. Gheddafi sarebbe pronto a spendere 2,5 miliardi di dollari per un contratto che gli garantisca bombardieri della classe Mig e Sukhoj, elicotteri e navi da guerra e i soliti sistemi missilistici per la difesa S-300. I medesimi vettori sono stati ordinati al supermarket bellico per Nazioni di Mosca da Indonesia e Algeria, mentre Vietnam e India ne sono già stati forniti. La Cina dovrebbe arrivare a possederne nel 2008 circa 1600 ed ha un contratto per la fabbricazione dei medesimi missili con il nome di Hongqi-10. Persino gli Stati Uniti hanno pensato di acquistarne un esemplare per studiarlo e migliorare il modello paritetico americano, il Patriot.

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