mercoledì 21 gennaio 2009

L'era della consapevolezza

“Oggi siamo chiamati ad una nuova era di responsabilità, la consapevolezza, da parte di ciascun americano, che abbiamo doveri verso noi stessi, la nazione e il mondo, doveri che non accettiamo controvoglia, ma che accogliamo con gioia, nella certezza che non esiste cosa più grata allo spirito, né più temprante per il nostro carattere, che impegnarci a fondo per risolvere un compito arduo”.


Barack Obama, 44° Presidente degli Stati Uniti, ha celebrato ieri con un lungo discorso (da Youtube) il suo insediamento alla Casa Bianca. Gli ultimi otto anni alle spalle e il brillante sole dell’avvenire che spicca sulla bandiera a stelle e strisce sono il riassunto migliore del discorso con cui Obama ha richiamato all’opera il popolo americano, consapevole della profonda crisi economica, ma anche d’identità, che sta attraversando il suo paese.

“Ma io ti dico, America: le affronteremo”. Così infonde fiducia il Presidente, perché, nonostante non abbia lesinato le cordialità di protocollo nei confronti del suo predecessore George W. Bush, Obama ha rimarcato gli aspetti peggiori degli ultimi anni americani. Una “economia indebolita, per colpa dell’avidità e dell’irresponsabilità di alcuni” e la tendenza a “proteggere interessi gretti e rimandare decisioni sgradevoli” sono una perfetta sintesi critica delle principali attività (o meglio: inattività) della governance repubblicana. Allora cosa dobbiamo fare per invertire la rotta, chiedono a gran voce gli americani e non solo. “A cominciare da oggi, dobbiamo risollevarci, rispolverarci, e rimetterci all’opera, per rifare l’America”. Obama sa cosa rispondere a questa domanda, ma è lecito chiedersi: per rifare quale America?

In una situazione molto simile a quella odierna si trovò Franklin Delano Roosevelt. Con il suo New Deal l’America sembrò rinascere dalle ceneri del colossale crack borsistico del ‘29 e, da lì ad una decina d’anni, il paese avrebbe dominato il mondo in seguito alla seconda guerra mondiale. L’America arrivò dove nessuna nazione o stato o dittatore o imperatore era mai arrivato: da qualsiasi sua decisione dipendeva il futuro dell’intero pianeta. Con la bomba nucleare stabilì un primato militare, con il piano Marshall quello economico e con i film di Hollywood infuse nel mondo intero la sensazione che gli Stati Uniti fossero realmente i portatori di quel primato ideologico di democrazia e libertà che ha fino ad oggi segnato qualsivoglia politica estera americana.

Da una firma di Roosevelt era nata la nazione più potente del mondo e, ancora oggi, nonostante tutto il tempo passato, Obama dichiara al suo discorso d’insediamento: “Restiamo la nazione più ricca e potente della terra”. Ma, con questa consapevolezza, Obama sembra voler richiamare ai valori fondamentali della costituzione proprio gli americani stessi. “La promessa divina che tutti gli uomini sono creati uguali, e liberi, e che tutti hanno diritto a realizzare pienamente la loro felicità”, sottolinea il Presidente, è uno dei concetti su cui si è basata la lotta dei rivoluzionari americani e dei padri fondatori per creare gli Stati Uniti. Liberté, fraternité, egalité, riassumeva in altri termini la carta firmata da George Washington il 17 settembre 1787 a Philadelphia.

Ma come la Rivoluzione Francese si è risolta nella dittatura del Terrore ed un soldato corso ne ha fatto di ciò che restava un impero personale, così l’America, con una gestazione più lunga, ha generato il Terrore del conflitto nucleare e l’impero personale delle multinazionali e della finanza liberale e creativa che ha portato alla crisi economica che ha messo in ginocchio il mondo intero.

Proprio oggi che siamo giunti all’apice di questo ricorso storico, si presenta ad Obama un’occasione unica. Il Presidente ha sottolineato come l’America sia “una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e indù e anche di non credenti”. Speriamo si renda conto che oggi l’America non è più solo degli americani, di qualsivoglia razza o religione essi siano, ma che, proprio per la posizione in cui si è voluta collocare rispetto al mondo intero, essa appartiene a tutti popoli della Terra.

Obama ha citato una frase con cui Washington, allora generale dell’esercito rivoluzionario, arringò il popolo americano prima della battaglia di Trenton, una delle più significative per l’indipendenza. “Che il mondo futuro sappia…che nel cuore dell’inverno, quando nulla più sopravviveva, se non la speranza e il valore…la città e la campagna, allertate del comune pericolo, si fecero avanti per affrontarlo”.

Ebbene, Presidente Obama, che il mondo futuro sappia che nel cuore dell’inverno, quando nulla più sopravviveva, se non la speranza e il valore, l’Occidente e l’Oriente, allertati dal comune pericolo, si fecero avanti per affrontarlo.

Chissà che l’uomo a capo della nazione più potente del mondo non possa veramente fare qualcosa del genere?! Da oggi non si tratta più di Yes we can. Oggi diventa Can you do it?


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